Dei permalosoni col vizietto della decapitazione coatta: sembra la descrizione fantasiosa di un popolo bellicoso uscito direttamente dal ciclo di romanzi di “Gargantua e Pantagruel”, ma invece, e sfortunatamente, non è altro che il “colorito” appellativo che la giornalista Concita De Gregorio ha utilizzato per rappresentare la Garfagnana e i suoi abitanti.
Una vera e propria “birichinata” quella della giornalista pisana, che con il sorriso sulle labbra ha raccontato la sua esperienza in Valle del Serchio mentre lavorava per Il Tirreno nel salotto di “Belve”, programma di Rai Due condotto da Francesca Fagnani.
“In Garfagnana si mozzano teste come se piovesse” chiosa la De Gregorio, anche se poi abbassa il tiro (ma neanche più di tanto): “Almeno quando c’ero io…non vorrei, perché i garfagnini sono anche parecchio permalosi”.
Qua non si vuole discutere sull’accuratezza dei fatti esposti dalla giornalista (gli omicidi efferati avvengono ovunque), ma piuttosto sul modo di esporli. La De Gregorio, editorialista per La Repubblica e direttrice de L’Unita dal 2008 al 2011, ha commesso un peccato imperdonabile per chiunque si cimenti nella carta stampata (o digitale): la generalizzazione indiscriminata di un’intera popolazione basandosi su categorie esperienziali e morali puramente soggettive.
Secondo quale criterio empirico si può definire la Garfagnana “una terra in cui si mozzano teste” con tre casi di omicidio in quasi cinquant’anni? E soprattutto, attraverso quale valutazione socio-antropologica il garfagnino è una “razza” di natura permalosa?
Ovviamente le domande poste non possono che essere retoriche, visto che tutto ciò non può assolutamente essere misurato. Secondo il principio della De Gregorio, e ricalcando alcuni degli stereotipi “più cari” della narrazione nazional-popolare, in casa di ogni napoletano è presente un mandolino, mentre i veneti del Polesine si nutrono quasi esclusivamente di “risi e bisi”. Il concetto è ormai chiaro, ma va perlomeno premiata l’originalità della giornalista, visto che lo stereotipo del “garfagnino tagliagole” ancora non l’aveva sentito nessuno.
Anche la questione della “permalosità” non può non scatenare ironia: sarebbe stato scientificamente interessante sapere come avrebbero reagito altre valli montane, o perché no una grande città, se fossero state definite con tali termini. Se non c’era l’intenzione di offendere, è stata quantomeno palese la povertà e l’inopportunità di linguaggio: fatto abbastanza insolito vista l’autorità giornalistica della De Gregorio.
L’unico “antidoto” a una narrazione così tossica è consigliare alla giornalista di tornare a visitare la nostra terra e sfogliare i dati sulla criminalità: potrebbe andare incontro a delle piacevoli e “inaspettate” sorprese.
L’augurio è di non essere sembrati troppo “permalosi”, ma ci vuole precisione per chiarire ancora, nell’Anno Domini 2023, quanto sia facile sputare generalizzazioni e quanto sia difficile, invece, sgrollarsele di dosso.