Ora legale/addormentata? Sánchez: «Spostare le lancette due volte l’anno non ha più senso»

Bandiera Spagnola - fonte_Pexels.com - Lagazzettadelserchio.it

Il premier spagnolo Pedro Sánchez riapre il dossier sul cambio dell’ora: in un’Europa che discute da anni di abolire il passaggio tra solare e legale, Madrid rilancia il tema con un messaggio politico chiaro — aggiornare una pratica nata in un altro secolo a un continente che consuma energia e lavora in modo diverso.

Perché il dibattito torna adesso: energia, salute e coordinamento europeo

Il cambio dell’ora è una consuetudine che affonda le radici in un’epoca di economie più industriali e meno digitali. L’argomento centrale a favore era l’efficienza energetica: più luce naturale nelle ore “utili”, meno lampadine accese. Oggi il mix energetico, l’illuminazione LED a bassi consumi e l’uso di dispositivi h24 hanno cambiato la curva dei consumi. Diversi studi recenti indicano benefici energetici marginali o variabili, mentre crescono le attenzioni per gli aspetti cronobiologici: il mini-jet lag biannuale, soprattutto nel passaggio all’ora legale, può incidere su sonno, attenzione e produttività nei giorni successivi, con un impatto non trascurabile su scuole, sanità e sicurezza stradale.

Dal lato politico, la posizione di Sánchez intercetta un sentimento diffuso: tante imprese e cittadini percepiscono lo spostamento delle lancette come un retaggio poco allineato con l’odierno equilibrio tra lavoro ibrido, servizi digitali e orari più flessibili. Inoltre, la discussione non è solo nazionale. Nel 2019 il Parlamento europeo ha aperto alla fine del cambio semestrale, demandando agli Stati membri la scelta del fuso e del regime (ora solare o legale “perenne”), ma il dossier si è arenato per mancanza di coordinamento. La Spagna, rilanciando, tocca un punto sensibile: senza una decisione sincronizzata, l’UE rischia una Europa a macchia di leopardo di orari, con impatti su trasporti, filiere e mercati interni.

Il tema incrocia anche la geografia. La penisola iberica è allineata al fuso centrale europeo (CET) pur essendo più a ovest: questo amplifica gli effetti percepiti del cambio e alimenta ciclicamente il dibattito su un’eventuale riallineamento dell’orologio “civile” a quello solare. In prospettiva, la scelta spagnola — qualsiasi essa sia — resta però legata a un calendario comunitario: per evitare confusione nelle tratte aeree, ferroviarie e nei mercati finanziari, servono finestre comuni e accordi con Francia e Portogallo, oltre che con i principali partner del blocco.

orologi che segano diversi orari – fonte_Pexels.com

Cosa potrebbe succedere: scenari, effetti pratici e una decisione da prendere insieme

Gli scenari sul tavolo sono tre. Primo: mantenere lo status quo, con il doppio passaggio annuale e piccoli aggiustamenti comunicativi (campagne su sonno, sicurezza e dispositivi da aggiornare). È l’opzione più semplice nell’immediato, ma non risponde al nodo politico sollevato da Madrid. Secondo: abolire il cambio e scegliere l’ora solare permanente, privilegiando allineamento astronomico, routine mattutine più morbide e minori sfasamenti cronobiologici. Terzo: fissare l’ora legale permanente, spostando stabilmente più luce alla sera (con vantaggi percepiti per commercio, turismo e vita sociale), ma accettando albe più tarde in inverno e qualche criticità per scuole e pendolari del mattino.

Qualunque esito richiede un approccio coordinato. I sistemi di trasporto e logistica europei sono costruiti su orari armonizzati: modifiche unilaterali generano costi organizzativi, ritardi e confusione negli orari internazionali. Anche il mondo delle borse e dei servizi finanziari soffre disallineamenti: bastano 60 minuti di differenza in più o in meno tra capitali per comprimere finestre di scambio o allungarle in modo inefficiente. Sul piano domestico, invece, la scelta “una volta per tutte” ridurrebbe la “fatica di adattamento” di famiglie e imprese, stabilizzando orari di scuola, turni sanitari, appuntamenti pubblici e pianificazione dei turni nel retail e nell’ospitalità.

Dal punto di vista della comunicazione pubblica, il rilancio spagnolo è un segnale politico che rimette l’UE davanti a un’agenda ferma da anni. La narrazione utile non è nostalgica («si è sempre fatto così») né puramente identitaria («più luce la sera»): è una valutazione evidence-based che pesi risparmi energetici reali oggi, impatti su salute e produttività, esigenze di mobilità e integrazione dei mercati. La finestra temporale naturale per un cambio coordinato resta l’<strong’inizio di un anno solare, con margine di preavviso sufficiente a compagnie aeree, ferrovie, broadcaster, scuole e PA per aggiornare sistemi, calendari e contratti.

Per i cittadini, il punto è pragmatico. Un’eventuale abolizione del cambio semestrale eliminerebbe due momenti di stress circadiano l’anno, rendendo più prevedibili sonno, routine e gestione familiare; per imprese e PA, significherebbe meno “micro-frizioni” IT (dai server ai badge), meno errori di pianificazione e più coerenza nei servizi digitali. Resta la scelta di campo tra luce del mattino o della sera: qui entrano preferenze sociali, latitudine, abitudini di lavoro e di scuola.

Il messaggio di Sánchez non è un semplice slogan: è l’invito a chiudere un capitolo sospeso, decidendo in modo coordinato se e come superare il cambio dell’ora. Che si opti per solare o legale permanente, la vera differenza la farà il metodo: dati al posto dei riflessi condizionati, sincronizzazione tra Paesi al posto di scelte solitarie, transizione ordinata invece di annunci last minute. Perché spostare le lancette due volte l’anno, oggi, ha senso solo se serve davvero a qualcosa. Se non serve più, meglio fermarle insieme, nel punto giusto.