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Scritto da andrea pedri
Garfagnana
20 Gennaio 2023

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Il termine “interconnesso” è di certo uno di quegli aggettivi che riesce con più efficacia a descrivere la nostra epoca. Il mondo, negli ultimi trent’anni, si è fatto piccolo come non mai: tra la rivoluzione digitale e l’abbattimento dei costi dei viaggi aerei, al giorno d’oggi è facilissimo, e alla portata della maggior parte di noi, conoscere e visitare luoghi che i nostri antenati potevano solo sognare.

Cento anni fa, fortunato era già chi poteva permettersi di sentire la salsedine versiliese partendo dalla Garfagnana, mentre oggi, anche facendo un po’ di economia, non è impensabile fare un viaggio in Indocina, Sudamerica, persino i remoti arcipelaghi dell’Oceano Pacifico.

Potrebbe quasi scappare un “sono bravi tutti ora”, ma quante possibilità c’erano, per un garfagnino, viaggiare per il mondo negli Anni 60?

La risposta è ovvia, ed è per questo che la storia di Renzo, detto il “Marconi”, è così suggestiva e meritevole di attenzione.

Renzo, nato e cresciuto nella frazione di Casatico nel comune di Camporgiano, con un periodo della propria infanzia anche in Inghilterra, aveva sempre sognato di vedere cosa si nascondesse oltre le alte montagne che da sempre cullano i sogni e i desideri dei garfagnini.

Ma come sarebbe stato possibile girare il mondo e lavorare nello stesso tempo? A quello ci ha pensato il mare, e in particolar modo il lavoro di telegrafista, o “marconista” come si usava dire al tempo in onore di Guglielmo Marconi: da qui nasce il soprannome e l’incredibile storia di un uomo di montagna che ha passato buona parte della sua vita tra i flutti degli oceani di mezzo mondo tra gli Anni 60 e i primi Anni 90 del secolo scorso.

Un’epopea che non può essere dimenticata, e che ha spinto lo scrittore e autore radiofonico Athos Bigongiali e l’economista prestato alla letteratura Oreste Verrini a scrivere, o forse per meglio dire “raccogliere”, le memorie di Renzo nel libro “Chiamatemi Marconi. Storie di mare”.

Un’opera quasi immediata, viscerale, che non si basa su un ordine cronologico o tematico, ma usa come unico filo “Il Marconi” e i suoi incredibili racconti.

Il libro è stato il protagonista dell’ultimo incontro, andato in scena ieri sera, dell’ormai nota rassegna culturale dei “Giovedì al Museo”, organizzata dal Museo italiano dell’immaginario folklorico di Piazza al Serchio.

Le temperature non sono state di certo clementi con l’appuntamento serale, ma grazie al collegamento online un nutrito gruppo di curiosi ha potuto ascoltare i pareri di uno dei due scrittori, Oreste Verrini, ospite in presenza del museo proprio per l’occasione.

Nonostante i racconti di Renzo si inseriscano in periodo che va dai sessanta ai trent’anni fa, le sue memorie sembrano far parte di un mondo lontanissimo, quasi mitico, in cui a momenti di pura meraviglia si intrecciano anche situazioni di estrema difficoltà, mancanze e paura.

Quando il Marconi raccontava – spiega Verrini – a volte si faceva fatica a credere a tutto: petroliere che risalgono fiumi, operazioni fatte da chi aveva una leggera infarinatura di pronto soccorso e da chi aveva lo stomaco forte, cadaveri a bordo…la lista di storie incredibili che Renzo ci ha concesso è vastissima, ed apre le porte sulla vita mare e sul mondo dell’epoca. Quello che più risalta, è che, nonostante siano passati pochi decenni, il mondo sia cambiato in modo irreversibile. Renzo ha girato in ogni dove, Singapore, Patagonia, India, Canada, Amazzonia, Mar dei Caraibi, e non risultava così omologato come quello di adesso. Ogni luogo aveva le sue peculiarità, che si potevano ritrovare nella lingua, nella cucina, nei negozi, e persino nei suoni e nei colori”.

Chiamatemi Marconi” sembra essere dunque un compendio di un mondo, e di un mestiere, che ormai non esiste più, divorato ogni giorno che passa da una globalizzazione che ci fa trovare un McDonald in ogni angolo del pianeta. Il libro però, e Verrini rimarca molto sulla questione, è anche il racconto di un uomo che, nonostante abbia solcato i sette mari, ha portato dentro di sé quella semplicità e quello spirito che si può ritrovare dentro ogni garfagnino.

È incredibile come arriva a descriverti le grandi città – continua lo scrittore – Ad esempio, mentre ci raccontava di Singapore, una citta enorme, esordiva con formule del tipo: siamo andati a mangiare in un ristorante dietro l’angolo, poi siamo entrati in una stradina lì di fianco e successivamente nella strada principale… Niente nomi, ma indicazioni semplici, quelle che noi usiamo quotidianamente per descrivere gli spostamenti nei nostri piccoli borghi. Penso che sia il segno di una schiettezza che nasce proprio in Garfagnana, e nello stesso tempo l’esempio più lampante di come per Renzo, Garfagnini doc, tutto il mondo sia diventato la sua piccola casa”.

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