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Scritto da andrea pedri
Garfagnana
26 Maggio 2023

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Sembra quasi un brutto scherzo del destino che i futuri equilibri geopolitici mondiali si stiano giocando, a distanza di più di 170 anni, nella stessa zona che per certi versi diede alla luce la politica internazionale contemporanea. Correva infatti l’anno 1853 quando scoppiò, nella penisola di Crimea, quella che molti definiscono la prima guerra moderna, fatta di ferrovie, battelli a vapore, telegrafi e persino inviati sul fronte.

Ad oggi, nell’anno 2023, il contesto di guerra si è solamente spostato poco più a nord (con la Crimea che ha visto veri e propri disordini già nel 2014), ma è interessante notare come i cosiddetti punti “caldi” del pianeta siano rimasti pressoché gli stessi da 150 anni.

Quello che invece forse cambiato è il modo con cui il mondo occidentale si approccia e viene a conoscenza della guerra, visto che in questo secolo e mezzo si è passati dai primi rudimentali dispositivi di comunicazione ai satelliti in orbita, e senza dimenticare le “libertà” che le costituzioni di molti paesi del mondo nate nella seconda metà del Novecento concedono all’informazione e a chi la fa.

Questo binomio di tecnologia e libertà dovrebbe essere un’assicurazione certa di verità quando si parla di conflitti e la loro narrazione, ma per quanto la libertà d’informazione abbia fatto passi da gigante negli ultimi decenni, le potenze che partecipano all’orrendo teatrino della guerra piegano molto spesso i fatti in funzione di un proprio interesse. Propaganda, censura, notizie di parte o solo a metà: quando si parla di guerra è davvero difficile trovare una narrazione unitaria, mentre invece gli esempi di versioni contrastanti tra di loro sono all’ordine del giorno.

Le guerre che si sono intercorse tra Crimea e Crimea sono state centinaia, alcune di queste al limite della sopravvivenza umana, e ancora oggi il pianeta nel suo insieme assomiglia più a un enorme campo di battaglia piuttosto che al verdeggiante “giardino” d’Europa e Nordamerica.

Guerra civile americana e spagnola, Prima e Seconda guerra mondiale, Guerra di Corea, Vietnam e del Golfo, e ancora Palestina, Yemen, Congo, Sudan, Etiopia, Somalia, Siria… Una marea di conflitti, e ognuno di questi, se studiato a fondo, porta con sé narrazioni differenti e divisive.

Addentrarsi in questo tematiche non è mai facile, ed è per questo che il Museo italiano dell’immaginario folklorico, in occasione del penultimo incontro di questa stagione dei “Giovedì al Museo”, ha deciso e provato a fare un po’ d’ordine invitando Andrea Giannasi, storico specializzato proprio nello studio e nella divulgazione di storia militare.

Non è di certo la prima volta che Giannasi “calca” il palco dei Giovedì (è infatti anche direttore della casa editrice “Tralerighe Libri”), ma è anche altrettanto vero che la veste con cui si è presentato all’incontro di ieri sera è stata nuova e insolita.

La conferenza dello storico (chiamata per l’occasione “La guerra è ancora igiene del mondo? Viaggio tra passato e presente”) è stata breve, all’incirca un’ora, ma estremamente intensa e piena di fatti, dati e informazioni utili per dispiegare la matassa in merito ai rapporti tra la guerra e i modi di raccontarla negli ultimi due secoli.

Inutile girarci attorno: tutti i conflitti, attraverso dinamiche diverse, hanno visto la censura e la strumentalizzazione dei fatti e dell’informazione da parte degli attori coinvolti, che fossero le lettere spedite dai soldati al fronte durante la Prima guerra mondiale fino alle guerre degli Anni Novanta, senza dimenticare tutti quei conflitti, volutamente e non, “dimenticati” dai media e dal mondo occidentale.

Si nascondono le proprie atrocità mostrando quelle degli altri, si fa passare un massacro come un sacrificio necessario, si decide di non mostrare la morte affinché a casa la gente non inizi a mormorare: strategie ormai consolidate, e che si stanno vedendo anche nel conflitto ucraino scoppiato poco più di un anno fa e che ha fatto rivivere nella mente degli europei il massacro di Srebrenica e la violenza delle guerre balcaniche.

Il “giardino” del mondo ha la guerra alle proprie porte, e il futuro è tutt’altro che certo. Le dinamiche e la posta in gioco sono persino più grandi di un continente, e riuscire a seguire queste vicende con occhio critico risulta sempre più complicato, quasi come un percorso a ostacoli pieno di travisamenti, approssimazioni e strumentalizzazioni.

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